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Nota sul Disegno di legge costituzionale sulla devoluzione

Nella Conferenza unificata del 14 febbraio 2002, Anci, Upi e Uncem hanno espresso parere negativo sul disegno legge costituzionale "Modificazioni all’articolo 117 della Costituzione" (cd. devolution)

Istituzioni e Riforme    1/12/2003

Conferenza unificata del 14 febbraio 2002


Nota sul Disegno di legge costituzionale

“Modificazioni all’articolo 117 della Costituzione”

 

La necessità di proseguire il processo di revisione costituzionale, che completi la riforma autonomistica avviata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, è stata posta da tempo con forza dall’intero sistema degli enti territoriali.

Le indiscutibili priorità, non rinviabili nel tempo e da recepire sin d’ora nel ddl cost. in esame, sono innanzitutto:

a) la riforma del Parlamento, che garantisca la partecipazione del sistema delle autonomie territoriali alla formazione delle decisioni fondamentali dello Stato, con l’istituzione di una Camera delle Autonomie;

b) la tutela costituzionale, con garanzie e forme efficaci di accesso alla Corte, per Comuni, Province e Città metropolitane, soggetti costitutivi della Repubblica al pari dello Stato e delle Regioni.

Questi ed altri aspetti condivisi unanimemente, sia dalle rappresentanze istituzionali che da quelle politiche, debbono essere oggetto di una iniziativa legislativa coerente e concertata tra Stato, Regioni ed Enti locali. Solo in tal modo, così come è stato per la precedente riforma del titolo V, si può ottenere il duplice risultato di una riforma realizzata in tempi rapidi ed effettivamente corrispondente alle richieste del mondo delle autonomie.

Il disegno di legge proposto dal Governo appare per questo innanzitutto deludente ed elusivo. I veri limiti della riforma costituzionale appena entrata in vigore non sono infatti neppure presi in esame. Al contrario, le modifiche proposte all’articolo 117 appaiono di difficile ed equivoca interpretazione.

L’unico punto affrontato dal testo predisposto dal Governo riguarda infatti un gruppo di materie (scuola, sanità e polizia locale) sulle quali singole regioni potrebbero assumere, di propria iniziativa, la competenza legislativa esclusiva. Tale spostamento di competenze appare di modestissimo significato, in quanto la polizia amministrativa locale già appartiene alla competenza legislativa esclusiva delle regioni e, ai sensi dell’articolo 116 Cost., co.3, è già possibile, su iniziativa delle regioni interessate, attribuire alle regioni medesime la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della salute e di istruzione.

Inoltre sulla scuola il testo sembra indicare l’obiettivo di affidare tutta la politica scolastica ad “alcune” regioni, salva una parte di programmi di interesse nazionale. Non possiamo condividere questa scelta: l’accesso all’istruzione pubblica è la materia in cui più si giocano i diritti dei cittadini, il principio di uguaglianza, la stessa identità della comunità nazionale. Peraltro, nell’ambito della scuola resta preziosa l’autonomia delle istituzioni scolastiche, garantita dal terzo comma del nuovo articolo 117, così come restano fermi i doveri dello Stato indicati dall’art. 33 Cost. per l’istituzione di “scuole statali per tutti gli ordini e gradi”.

Non comprendiamo quindi l’effettiva portata degli intendimenti innovativi del Governo, mentre riaffermiamo con decisione le competenze degli enti locali nei servizi educativi e scolastici, consolidate da decenni di esperienze positive sul territorio.

Analoghe riflessioni si debbono fare a proposito dell’equivoca espressione “polizia locale”, nonostante gli apparenti chiarimenti forniti in ordine alla realizzazione di una polizia regionale “intermedia” tra quella statale e quella degli enti locali. Già oggi l’articolo 117 Cost. assegna alle regioni la competenza esclusiva in materia di polizia amministrativa locale. Il testo proposto sarà certamente di difficilissima interpretazione, coordinato con la lettera h) del secondo comma dell’articolo 117 e con il terzo comma dell’articolo 118. Tuttavia pare finalizzato a stravolgere il ruolo delle polizie locali, municipali e provinciali, portandole su funzioni preminenti di sicurezza e di ordine pubblico. Comuni e Province, che da oltre un secolo hanno esercitato con efficacia la funzione di polizia locale (che resta senza alcun dubbio una loro “funzione fondamentale” ai sensi dell’art.117, secondo comma, lettera p), non condividono questa trasformazione, ritengono che le regole fondamentali in materia di ordine pubblico e di sicurezza debbano essere uguali su tutto il territorio nazionale, e temono che – a seguito di questa equivoca espressione costituzionale – si vogliano avviare processi di centralizzazione in ambito regionale, o la sovrapposizione di nuovi corpi di polizia regionale alle realtà già operanti e indiscutibili delle forze di polizia dello Stato e dei corpi di polizia municipale e provinciale.

Quanto alla “assistenza e organizzazione sanitaria”, poichè la competenza legislativa esclusiva delle regioni è già attivabile con il procedimento previsto dall’articolo 116, terzo comma, non comprendiamo le ragioni della proposta. A meno che l’obiettivo, per questa come per le altre materie del disegno di legge, non sia quello di escludere il sistema delle autonomie locali – i comuni, le province, le città metropolitane – da decisioni importantissime per le comunità locali, rischiando certamente di incidere sulle “prestazioni essenziali” per tutti i cittadini, richiamate dall’art.117.

Il terzo comma dell’articolo 116, nel disciplinare i processi di ampliamento della competenza legislativa esclusiva delle regioni, prescrive il coinvolgimento degli enti locali. Il disegno di legge del Governo non ne fa parola.

In questo ambito di riflessioni, l’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM debbono esprimere un parere non favorevole al testo presentato.



Redattore: Gaetano Palombelli
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